Angelo Rusconi, Filca Cisl dei Laghi, nel cuore di Gaza

Angelo Rusconi, Filca Cisl dei Laghi, nel cuore di Gaza

C’è anche un cuore comasco che batte nel cento di Gaza City, la città simbolo della follia di questo tempo, in cui ci troviamo spettatori di quella che papa Francesco ha definito “guerra mondiale a pezzi”. È Angelo Rusconi, di Lomazzo. Siamo riusciti a raggiungerlo telefonicamente.

Trovate QUI il suo appello per Gaza.

Angelo, come mai ti trovi a Gaza?

«Dal 2001 collaboro con Medici Senza Frontiere. A Como lavoro per la Filca Cisl dei Laghi (la Federazione Italiana Lavoratori Costruzioni e Affini CISL, ndr) come rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale. Ogni volta che Medici Senza Frontiere chiede il mio aiuto (e sono disponibile), prendo un’aspettativa non retribuita e parto in missione. Mi trovo qui da qualche settimana. In genere missioni di questo tipo prevedono rotazioni di circa due mesi».

Che ruolo hai lì?

«Io nasco come logista, qui sono a capo di un progetto di Medici Senza Frontiere, siamo nel quartiere di Remal, a Gaza City, un tempo area residenziale e oggi semi distrutto. Abbiamo trasformato una casa e il nostro ex ufficio in una clinica e stiamo lavorando alla realizzazione di un pronto soccorso. In questa clinica ci prendiamo cura delle donne incinte e di tutto ciò che riguarda la fase prenatale. Ma assistiamo anche bambini malnutriti, curiamo piccole ferite e malattie croniche, come il diabete. Assistiamo circa 370 pazienti al giorno. Inoltre, forniamo un servizio di distribuzione acqua. Qui sono presenti due linee idriche che arrivano da Israele, ma che spesso sono chiuse. Perciò l’acqua va pompata ma, essendo salata, deve essere dissalata e distribuita. Qui al nord il mio gruppo ne distribuisce circa 300 m³ al giorno. Su tutta la striscia Medici Senza Frontiere ne consegna circa 1500 m³ al giorno».

In quanti operate su questo progetto?

«Nel mio gruppo siamo tre stranieri, 8 in totale a Gaza City come Msf, piu lo staff locale composto da una sessantina di persone. Inoltre, prevediamo l’apertura di altri due pronti soccorsi, uno all’interno di un ospedale, che occuperanno complessivamente circa 160-170 persone».

Trovate QUI alcune riprese di Angelo Rusconi del cuore di Gaza City.

Qual è la situazione di Gaza al momento?

«Siamo sotto attacco da una settimana circa, con bombardamenti costanti.  Ogni notte un susseguirsi di esplosioni. Venerdì 23 maggio sono caduti tre missili nel nostro quartiere. La città è devastata. Gaza City nord completamente distrutta. Ricordo di essere stato capo missione qui undici anni fa. Era una città splendida, oggi è un cumulo di macerie. Un’operazione chirurgica, condotta casa per casa. Quando sono entrate le truppe di terra davano fuoco alle case o mettevano delle bombe. Ora continuano con bombardamenti a tappeto, per non lasciare indietro nulla. E i prezzi sono saliti alle stelle. Un kg di riso costa 18 dollari, uno di farina 15. La legna si compra al chilo, 1,5 dollari. Un litro di gasolio costa 25 dollari. Non c’è carne, poca verdura. La gente ha fame e qui tutti mangiano solo una volta al giorno. Ora speriamo ricominci ad arrivare qualche aiuto, perché le ultime dieci settimane sono state un inferno. Prima nella Striscia entravano cinquecento camion al giorno, poi il blocco. Ora ci dicono che hanno riaperto ai primi cento, ma per il momento a Gaza City (la nostra intervista è di sabato 24 maggio, ndr) noi ancora non abbiamo visto nulla. Per fortuna avevamo qualche scorta, ma la situazione sta diventando insostenibile. Anche sul fronte dei farmaci abbiamo una disponibilità al massimo di qualche settimana».

Accennavi al fatto che le operazioni di distruzione proseguono con l’evidente obiettivo di radere al suolo tutto…

«Guarda, io sono stato allo Zunami , ad Haiti dopo il terremoto, ma anche ad Antiochia, in Turchia… Ho vissuto la devastazione totale. Ma in quei casi si trattava di eventi naturali. Qui gli edifici che rimangono in piedi vengono bombardati nuovamente perché non ne resti più nulla. Una infermiera che lavora con noi ci ha raccontato che la scorsa settimana, a sud, sono entrati in un quartiere, hanno minato tutte le case che erano rimaste in piedi e le hanno fatte esplodere in un colpo. Ieri abbiamo visto un video con le ruspe israeliane che abbattevano l’ultimo acquedotto a sud di Gaza. Un crimine contro l’umanità che è assolutamente necessario interrompere. Non è accettabile».

Come passano le giornate a Gaza?

«Immagina un formicaio… e che qualcuno arrivi per distruggerlo. Le formiche scappano, ma subito alla scomparsa del pericolo ritornano. Qui è esattamente così. Cade una bomba, distruzione, sirene. E dopo un quarto d’ora la vita riprende. Ti viene abbattuta la casa? La risistemi se è possibile, oppure cerchi un nuovo riparo. La casa dove vivo è stata rimessa in sesto dal proprietario dopo che era stata bruciata. Ricevi un ordine di evacuazione dall’esercito israeliano (l’Israeli Defense Force) e sei costretto a spostare la tua famiglia di notte? Ti trasferisci da qualche parente o amico per qualche giorno e poi ritorni. È incredibile la forza di questa gente, che con ostinazione, ogni volta, riparte da dove si trovava prima, o da zero, e continua a vivere. E così facciamo anche noi accanto a loro. Sistemiamo le strutture danneggiate, oppure ci spostiamo e ricominciamo…»

Hai parlato di forza, ostinazione. Ma dove trova la gente di Gaza la capacità di andare avanti?

«Purtroppo, con il tempo ci si abitua anche ad un contesto di guerra. Così ci spiega la gente di qui. E la vita continua. Guerra che, dopo 20 mesi, è diventata routine quotidiana. Una “normalità” surreale che vive anche nei discorsi della gente: “Com’è andata stanotte? Ti hanno evacuato?”. “No, mi è caduta una bomba vicino casa che mi ha rotto i tutti i vetri, ho passato il fine settimana a mettere plastiche alle finestre”. “Stai bene? Dove sei stato?”,Sono stato a trovare la moglie di mio fratello, che è saltato in aria…” Discorsi diversi che raccontano la medesima quotidianità. Ieri sono caduti tre razzi, momenti di scompiglio, polvere, distruzione, morte. E poi tutto è ripartito. Intanto la fame aumenta. Dopo dieci settimane senza aiuti è sempre più alto il numero di donne incinte che arrivano a noi in serio stato di malnutrizione. E sempre più alla nostra clinica di MSF arriva gente disperata, anche persone che non mangiano da giorni».

Cosa pensa la gente di Gaza sul futuro?

«La gente ha imparato a non pensare al futuro. Si tratta del  copy mechanism, una modalità di comportamento che prevede di “copiare” comportamenti, strategie, rituali o routine per riuscire a vivere una parvenza di normalità, anche in mezzo alla violenza o all’instabilità. Il che significa andare a scuola, cucinare come sempre, continuare il lavoro. Tieni conto che qui il livello culturale è molto alto. Con noi lavora un guardiano che ha due lauree, ieri una ragazza ha tenuto un esame on-line per un master. Andrae avanti significa farlo giorno dopo giorno, senza guardare troppo in là. Perché il futuro fa paura. Inshallah».

E i bambini come vivono questa situazione?

«Hanno imparato anche loro ad adattarsi, come gli adulti. Così li vedi giocare per strada, tra le macerie. Un responsabile dei nostri infermieri mi ha detto di recente: “Mio figlio mi chiede spesso: papà, quando smettono le bombe? ed io non lo so, e lui: no, papà, tu mi devi dire quando…”. I piccoli qui sono più svegli e reattivi dei loro coetanei occidentali, proprio perché il contesto in cui vivono li ha aiutati a crescere. Sanno come giocare , interrompere se cadono le bombe, come trovare un rifugio se si muove qualcosa, come recuperare l’acqua in un contesto di alto rischio. Non dimentichiamo che qui una volta il tenore di vita era come il nostro, mentre oggi là dove una volta si viveva in 3-4 persone ci si trova anche in 22, com’è il caso di un logista che lavora con noi».

Tu non hai paura?

«La paura ci accompagna sempre. Chi è un operatore umanitario come me, che ho vissuto situazioni drammatiche in diverse parti del mondo, sa che la paura è parte della vita, che ti tiene vivo, ti fa stare attento, prudente… Occorre saperla gestire, per evitare che diventi panico da un lato, e che invece venga gestita alla “cow boy” dall’altro… Ci tengo però a precisare che noi operatori di Medici Senza Frontiere non siamo allo sbaraglio. Analizziamo il contesto costantemente e abbiamo norme di sicurezza precise.  La nostra è un’organizzazione ben strutturata. Viviamo in una casa segnalata al governo e alle autorità israeliane. Certo, può capitare di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato, ma questo potrebbe capitare anche in tangenziale a Milano. La sicurezza è per noi un requisito essenziale, pur operando in contesti di guerra, ma poi a volte può essere la fatalità a giocare brutti scherzi. In Italia, nella mia vita quotidiana, io mi occupo di sicurezza nell’edilizia. Cerchiamo di mettere in atto tutte le precauzioni possibili ma si tratta di un settore in cui, purtroppo, gli incidenti mortali sono molto frequenti».

Perché hai scelto di diventare operatore umanitario?

«Perché ho sempre voluto lasciare il mondo un po’ migliore a mio figlio.  Oggi mi accontenterei di lasciarlo uguale a quello che era prima. Sono qui anche per lui, perché il suo mondo di domani non sia peggiore di quello di oggi. Credo che noi occidentali abbiamo ricevuto molto e penso che sia compito di ognuno di noi condividere questo molto tanto da chi era prima di noi. Una sorta di “passa il favore” solo così il mondo può tentare di migliorare un pochino se ognuno fa la sua piccola parte».

Che cosa possiamo fare noi, per non limitarci ad essere spettatori indifferenti di quella che molti hanno definito una pervicace reiterazione di un genocidio?

«Innanzitutto, c’è un diritto internazionale che deve essere ribadito e fatto rispettare. La comunità internazionale deve aumentare la sua pressione su Israele per fermare tutto ciò. A livello personale, da una parte credo dobbiamo imparare a non lamentarci di quello che abbiamo, dall’altra credo sia il tempo di alzare una voce forte, che faccia arrivare al governo italiano il dissenso verso quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza. Così come sensibilizzare istituzioni, associazioni, persone, aziende…  Che cosa pensano di questa situazione? L’Europa ha rapporti commerciali con Israele che muovono circa 45 miliardi di euro l’anno. E basterebbe che l’America chiudesse i rubinetti dal punto di vista della fornitura delle armi, visto che tutto quello che ci cade dall’alto arriva da lì…».